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La febbre dell'oro sale a 3mila

Lingotto

L'oro raccoglie l'assist di Jerome Powell e mette nel mirino altri record. Il presidente della Federal Reserve nel suo intervento al Simposio di Jackson Hole ha di fatto spalancato le porte al primo taglio dei tassi e il metallo giallo è tra i potenziali vincitori davanti a un rapido calo dei rendimenti reali e all'indebolimento del dollaro. Il lingotto ne trae vantaggio in quanto non paga interessi e vede aumentare il suo appeal rispetto ad asset che pagano un rendimento, come le obbligazioni, destinato a scendere man mano che si consolidano le attese di tassi più bassi. Le quotazioni dell'oro sono ormai prossime ai 2.600 dollari l'oncia (ieri si sono mosse in area 2.550 dollari dopo un picco a 2.570) e gli analisti guardano già ai prossimi traguardi.

 Il muro dei 3mila dollari non appare un tabù alla luce dei tanti driver che in questo momento giocano a favore del metallo più pregiato. Citigroup ritiene che tale soglia sarà toccata entro la metà del prossimo anno con gli afflussi negli Etf Gold attesi in espansione «significativa» sotto la spinta di una politica monetaria più accomodante, a cui si aggiunge il rischio di picchi di volatilità sui mercati in caso si concretizzi una recessione. L'oro infatti è sempre stato visto un investimento sicuro, soprattutto quando l'economia dà segnali di cedimento. A questo va aggiunto l'attuale contesto di crescente incertezza geopolitica. Anche Bank of America prevede i prezzi dell'oro arrampicarsi fino ai 3mila dollari entro i prossimi 12-18 mesi sotto la spinta di tassi più bassi e acquisti da parte delle banche centrali. Paesi come Cina, India e Russia stanno incrementando notevolmente le loro riserve auree nell'intento di ridurre la loro dipendenza dal dollaro statunitense. JPMorgan stima che le banche centrali hanno acquistato oltre mille tonnellate di oro nel 2023. La voglia di de-dollarizzazione è ai massimi storici nei paesi del blocco Brics che stanno studiando la creazione di una moneta da usare per gli scambi commerciali fra le economie dell'asse. «A ottobre ci sarà il vertice Brics a Kazan (Russia) e da quello che trapela si discuterà proprio la possibilità di adottare una valuta di unità di conto per il 40% ponderata in oro e per il restante 60% in valute dei maggiori paesi Brics», spiega a Il Giornale Maurizio Mazziero, fondatore di Mazziero Research.

Guardando agli altri fattori di spinta, Peter Kinsella di Union Bancaire Privée (Ubp) ne indica sei in arrivo a settembre: cinque sono riunioni delle banche centrali (Canada, Ue, Usa, Regno Unito e Svizzera), a cui si aggiunge il dibattito presidenziale del 10 settembre. «Il principale rischio di ribasso - indica Kinsella - sarebbe se la Fed e le altre principali banche centrali rinviassero i loro cicli di riduzione dei tassi. Ciò appare improbabile». Un altro elemento di rischio è un nuovo rally troppo veloce (i prezzi sono già saliti di oltre il 20% nel 2024) «che rischia di innescare una correzione dei prezzi dettata da prese di profitto di alcuni investitori», ammonisce Mazziero.

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